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NO ALLA GREEN WAY _post convegno
La green-way è un’idea campata in aria; il turismo in Irpinia ha ben altre priorità. Questa la conclusione del convegno tenuto stamane ad Avellino.
Un’idea balzana, pensata nell’Università di Napoli e senza alcun confronto preventivo col territorio irpino, che ha trovato purtroppo riscontro con l’approvazione incondizionata da parte del Consiglio Provinciale del Piano territoriale di Coordinamento a fine dicembre 2012.
Sono bastate 6 righe a pagina 41 della relazione di piano per dare assoluta priorità alla trasformazione della storica ferrovia Avellino-Rocchetta in pista ciclabile nella programmazione provinciale.
All’intervento illustrativo del coordinatore, Prof. Mangoni dell’Università di Napoli (ma nel gruppo di lavoro molti professionisti irpini e dell’amministrazione provinciale) ha fatto seguito l’intervento dell’Arch. Angelo Verderosa che ha espresso la posizione delle tante associazioni e aziende del territorio quali In_Loco Motivi, Piccoli Paesi, Stati Generali dell’Alta Irpinia, Legambiente, IrpiniaTurismo, Associazione Lucana onlus La Strada dei Fiori, Comitato Avellino Capoluogo e altre adesioni che man mano si sono aggiunte tra facebook, Twitter e Blog. Una posizione netta e contraria alla trasformazione della storica ferrovia in pista ciclabile; basta con lo spreco insensato di denari pubblici per idee che non produzono effetti benefici sul territorio e infine rovinano un bene storico e paesaggistico da tutelare come la Ferrovia.
Le associazioni hanno fatto un po’ di conti ipotizzando una spesa minima di 100 euro per mq. di ferrovia trasformata (scavi, massicciate, asfalto, segnaletica, ringhiere di protezione; per una larghezza media della banchina di 5 ml. fanno 500 euro a ml.; per un chilometro (1000 metri) ci vogliono 500.000 euro di lavori; per i 70 km. della tratta provinciale ci vogliono quindi 35 milioni di euro solo per lavori a cui aggiungere iva, spese tecniche e sicurezza per altri 15 mln. di euro e per un totale, salvo imprevisti, di 50 milioni di euro. A questi bisognerebbe sommare il 6% annuo di manutenzione, quindi circa 300.000 euro pari a quasi il costo della manutenzione occorrente per far circolare i treni. Che dire poi del valore della storica ferrovia, autentica opera d’arte d’inserimento mirabile nel paesaggio, di valore strategico militare ed economico. Anche su questo si sono soffermate le associazioni con una stima del valore attuale dello stato di consistenza della ferrovia in circa 900 mln. di euro, cioè la ferrovia così com’è vale circa un miliardo di euro, una vera finanziaria. In conclusione, a fronte di questo valore si può mai sostenere una spesa così ingente per asfaltarne i binari ? Ma per quali ciclisti ? Con quali ritorni economici e turistici ?
La controproposta al settore turistico provinciale e regionale, in sala il vicepresidente Giuseppe De Mita e i sindaci di Bisaccia, Calabritto e Taurasi : scegliere una rete di strade rurali a farne piste ciclabili e pedonali protette. In Irpinia ce ne sono per 2.500 km.
“Si potrebbe iniziare dal ‘Cammino di Guglielmo’, partendo dal Santuario di Montevergine, fino a Montella a S.Francesco a Folloni, proseguire per il Laceno, l’Abbazia del Goleto fino a S.Maria di Pierno, ultimo monastero fondato dal pellegrino Guglielmo in prossimità di San Fele”.
Appuntamento per le associazioni e i comitati con il pool di imprenditori che hanno mostrato interesse per un auto-gestione della tratta sia per uso passeggeri che turistici: l’appuntamento è rinviato dopo la tornata elettorale e si terrà presso la sala riunioni del Tribunale di sant’Angelo dei Lombardi.
Salviamo la ferrovia Avellino-Rocchetta – ARTICOLI CORRELATI, CLICCA QUI
Una giornata a Valva / sabato 3 novembre 2012
PICCOLI PAESI al MADE EXPO di Milano
SALVIAMO I PICCOLI BORGHI ITALIANI
I Borghi e Centri Storici del nostro Paese rappresentano e raccontano una cultura e un patrimonio identitario di indiscusso fascino che tutto il mondo ci invidia ma che raramente si riesce a valorizzare in modo adeguato. Non solo espressione inimitabile del nostro Made in Italy ma anche risorsa strategica che può favorire il riequilibrio del sistema ambientale, sociale e culturale. I piccoli paesi e i borghi storici possono costituire infatti, anche in un periodo di forte crisi quale quello attuale, uno strumento di difesa e di presidio territoriale in grado, da un lato, di contribuire alla manutenzione e cura del territorio nazionale e, dall’altro, di garantire lo sviluppo di processi innovativi in molti campi grazie all’attivazione di vere e proprie filiere produttive a scala territoriale.
Le cifre sono note: oltre il 70% dei comuni italiani conta meno di 5.000 abitanti occupando il 54% del territorio nazionale e rappresentando il 17,1% della popolazione italiana. Nei 5800 comuni “minori” si contano altresì oltre 180.000 PMI, circa 5.000 prodotti tipici e verso di essi si dirige il 42% dei turisti stranieri che ogni anno visitano il nostro Paese.
A fronte di tale panorama l’evento “Borghi & CentriStorici”, quest’anno alla sua terza edizione, rinnova la sua attenzione per questo enorme patrimonio e per i processi di sviluppo, valorizzazione e riqualificazione affrontati in una logica di interdisciplinarietà e di innovazione in relazione a nuovi modelli e formule ricettive e residenziali, soluzioni tecniche e tecnologiche per il recupero di tale patrimonio, aspetti finanziari, gestionali e programmatici connessi all’implementazione di tali processi.
La cultura irpina come possibile guida per il futuro
La cultura irpina come possibile guida per il futuro _ di Paolo Saggese (articolo pubblicato sulla prima pagina del MATTINO del 10 luglio 2012)
C’è un grande fermento culturale soprattutto in Alta Irpinia, in questi mesi della “crescita zero”, un fermento trasversale e intergenerazionale, che potrà forse essere velleitario – cosa che non credo -, ma almeno dimostra reattività e vivacità. C’è un movimento “No petrolio”, che dimostra attenzione per i problemi ambientali e per il futuro di questa nostra piccola “Arcadia”, c’è un’ipotesi di rilancio dei Festival cinematografici di Bagnoli Irpino e di Torella dei Lombardi attraverso una sinergia con Giffoni, c’è un movimento a favore dei piccoli comuni, che ha visto l’intervento di architetti, sociologi e intellettuali chiamati a raccolta da Angelo Verderosa, c’è un progetto di rilancio della Avellino – Rocchetta Sant’Antonio (In_Loco_Motivi). Possiamo aggiungere la rivitalizzazione del “Parco Letterario Francesco De Sanctis”, sotto la direzione di Mario Salzarulo, teso alla valorizzazione dell’Alta Irpinia attraverso il carattere unificante della figura del grande critico di Morra Irpino. Se mi è consentito, c’è anche l’attività del Centro di Documentazione sulla Poesia del Sud, che sta portando avanti una battaglia culturale a favore della letteratura meridionale, che ha visto il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca prendere in considerazione la possibilità di rivedere le “Indicazioni nazionali” per i Licei.
“E’ complicato fare un acquario da una zuppa di pesce” riflessioni di un sindacalista al Goleto.
“E’ complicato fare un acquario da una zuppa di pesce” riflessioni di un sindacalista al Goleto.
La mattina di sabato 23 giugno, percorrendo la vecchia via Appia, curve dolci e controcurve sinuose, zigzagando in una campagna dagli intensi colori giallo-verdi, fresca del fieno appena raccolto, me ne andavo al Goleto ( da mezzo secolo ne ammiro anche le ombre delle pietre) per partecipare, come sindacalista della CGIL, al convegno ispirato dall’arch. Angelo Verderosa, ripensando ad un piccolo e stravagante libro: zoo o lettere non d’amore. Il grande formalista russo Victor Sklovskij racconta di un uomo che ama una donna, vuole scriverle lettere d’amore, ma la donna glielo vieta. Allora l’uomo disperato scrive “lettere non d’amore”. Senza accorgersene, però, come per magia, l’uomo trasforma ogni argomento, dal più semplice al più complicato, in lettere di un discorso amoroso. Istintivamente, accostavo questo libro (nei libri tutto è possibile) al luogo che stavo raggiungendo. Con la sensazione che la stessa cosa capita a chi frequenta quell’abbazia, un luogo irriducibile al turismo-culturale da cartolina. Un vecchio contadino mi raccontava che una volta la forza dei Ruderi era tale che ogni anno durante la notte di San Giovanni migliaia di lucciole (prima della loro scomparsa) convenivano da tutta la piana dell’Ofanto al Goleto per i loro comizi d’amore.Una interminabile ed estenuante “woodstock zoologica”. Ogni luogo carico di “storia fascinosa” – come lo è il Goleto – si offre sempre con semplicità: ogni incontro – casuale o intenzionale che sia – fra persone instaura nuove relazioni, suscita nuove emozioni, ispira nuove geografie. Devo riconoscere, nonostante un’ iniziale dose di scetticismo, che quella mattina la scontata e prevedibile routine di ogni convegno si è miracolosamente dissolta forse per merito dell’abile e fantasiosa regia artistica del “maestro di cerimonia” Dario Bavaro.
Come ho visto la terra d’IRPINIA _ di Luca Gibello
“Come ho visto la terra d’Irpinia” _ di Luca Gibello, caporedattore de “Il Giornale dell’Architettura”
_questo articolo è stato pubblicato in prima pagina dal MATTINO nell’edizione di mercoledì 4 luglio 2012
_IL MATTINO, download pdf GIBELLO x IL MATTINO 4 7 2012
Già da mesi avevo accettato con entusiasmo l’invito di Angelo Verderosa a intervenire come relatore in occasione del convegno all’Abbazia del Goleto. Molteplici ragioni mi spingevano a farlo: il tema dell’incontro (il recupero e la rivitalizzazione dei piccoli borghi appenninici), che trovo estremamente attuale e incrocia miei interessi di ricerca scientifica e mie sensibilità personali; la spiritualità e la potenza evocativa del luogo (il progetto di recupero dell’Abbazia, che avevo già avuto modo di visitare, era stato ampiamente pubblicato dal nostro mensile); l’idea di pernottarvi; una certa affinità elettiva con l’Alta Irpinia, con i suoi paesaggi e con l’umanità e ospitalità calorosa ma garbata dei suoi abitanti (che avevo incontrato nel novembre 2010 in occasione di un altro convegno a Sant’Andrea di Conza); non ultima, l’amicizia con Angelo, conosciuto “sul campo”, nel 2009, proprio nel da poco concluso cantiere del “suo” Goleto.
Poi, nelle scorse settimane, gli impegni di lavoro e privati a Torino si erano accavallati, al punto da indurmi a dare forfait. Mi sono trattenuto dal farlo solo per amicizia e correttezza professionale, ma confesso che sono salito sul Frecciarossa un po’ controvoglia. Né mi hanno messo di umore migliore il clima torrido e la bolgia dantesca, con tanto di umanità varia, esperiti all’esterno della stazione centrale di Napoli, dove attendevo l’auto di alcuni colleghi per un passaggio verso Sant’Angelo dei Lombardi.
Una proposta per i piccoli comuni _ di PAOLO SAGGESE
Dal Goleto un manifesto dei piccoli borghi _ di PAOLO SAGGESE
_questo articolo è stato pubblicato in prima pagina dal MATTINO nell’edizione di sabato 23 giugno 2012
Vi è una discussione fittissima, ormai da quasi trent’anni, sul destino dei piccoli comuni d’Irpinia, come era già avvenuto, nel 1968, dopo il terremoto del Belice. Allora, a causa del disastroso sisma del 23 novembre, si propose di accorpare, ad esempio, Lioni, Sant’Angelo, Torella dei Lombardi e farne un unico centro, con più servizi, con più prospettive – si pensava -, con più futuro.
Allora, si ipotizzò anche di dislocare in pianura alcuni centri arroccati sulle colline allora coperte di macerie, ed in alcuni casi sono nati nuovi centri abitati, anche a causa delle ungarettiane “frane ferme” (Conza della Campania, Bisaccia).
In quegli anni tra il 1981 e il 1985, la discussione fu esaltante e spesso vana. Il resto è ormai storia. Poi, superati problemi insediativi, si passò alla discussione del futuro industriale, con la realizzazione di un mirabile progresso fondato sulle “fabbriche in montagna”, sull’ipotesi di una nuova Svizzera, che avrebbe realizzato le “magnifiche sorti e progressive”. Anche in questo caso, sappiamo come sono andate le cose.
Ma c’erano ragioni più grandi, superiori alla nostra volontà, che decretavano altro destino per i piccoli paesi del Sud, come per tutti i piccoli centri dell’Italia interna.
Questa ragione è la “fuga” verso le città, verso il “progresso”, verso il “moderno” e il “futuro”, come la “fuga” verso il lavoro, la sopravvivenza o la ricchezza. Si fuggiva anche dalla miseria, e questa fuga oggi sta divenendo sempre più di attualità.
BIOARCHITETTURA ed EVENTI _ di FRANCA MOLINARO
BIOARCHITETTURA ed EVENTI _ di FRANCA MOLINARO per il quotidiano OTTOPAGINE domenica 1 luglio 2012
download articolo in PDF (1 Mb) Franca Molinaro x Ottopagine 1 7 2012
Da sempre il concetto di architettura si è identificato con l’idea di spazio interno o esterno studiato per adempiere alle molteplici esigenze dell’uomo, uno spazio che si modifica e si caratterizza secondo i luoghi, i culti, le ere, le civiltà. L’architettura, più delle altre arti, esprime appieno il volto di una comunità, ha una sua utilità immediata, tangibile, disegna gli spazi del vivere umano nella sua totalità assoluta. Seguire il suo sviluppo vale a individuare le esigenze dell’uomo dalla sua comparsa sulla scena storica. Le caverne poi le palafitte, le capanne di fango e le prime costruzioni di pietra sormontate da frasche, rappresentano le prime forme di abitazioni, già si parla, in qualche modo, di architettura. Il grande passo verso la vera architettura è promosso dalla spiritualità dell’uomo, infine, la diversificazione delle classi sociali stabilisce i canoni degli edifici e degli spazi. L’architettura segue il percorso dell’uomo e ne condivide il pensiero, dall’armonia perfetta adottata da Fidia, in cui lo spazio vive e respira, compenetrandosi tra interno ed esterno, interagendo, diventando aria e cielo, verso l’oscurantismo romanico dove l’uomo è soffocato dall’idea della morte e dell’aldilà. Ancora lo spirito si eleva in cerca di Dio ed innalza guglie aguzze poi si appiana e prende profili antropocentrici col Rinascimento. Corsi e ricorsi portano l’uomo alle soglie del ‘9oo con le conquiste tecniche più impensate, trionfa il ferro e il cemento che detta nuove regole e nuove sfide. Si assottigliano le mura, scompare la capriata, la pietra, resiste ancora il cotto. L’architettura degli ultimi anni ha visto l’impiego di materiali sempre più alternativi, a volte nocivi alla salute, a volte incompatibili con l’ecosistema. Troneggia il ferro nonostante la sua ottima termo conduzione, le vernici tossiche, i riscaldamenti con eccessiva immissione di ossido di carbonio.








