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7 scrittori per Cairano 7x _ Emanuela Sica : La staffetta

emyQuella notte era una ragnatela dalla trama sempre più fitta. Quasi una coperta, buttata su quel piccolo pezzo di mondo, quando il giorno iniziava il trapasso verso altri luoghi. Non una lenta gradazione dei colori, ma un interruttore. Qualcuno che spegne la luce alle prime avvisaglie del tramonto. Dario rimaneva seduto a guardare proprio la notte. Notte orfana di stelle, fuggite chissà dove per non farsi infettare da quella tristezza. Tristezza che aveva contagiato tutto e tutti. Metteva fuori la sedia quando il nero diventava padrone delle strade ed il paese scompariva. Così gli altri, come lui, completamente avvolti nell’abito stretto delle ore notturne, rimanevano seduti a fissare il niente e di quel niente si sentivano, stranamente, appagati. Esistenze che battevano il tempo, i giorni, gli anni, le stagioni, con catalettica noia. Uscivano solo per le strette necessità. Le case barricate, baluardi di solitudine. Si concedevano mezz’ora, la domenica mattina, nel ritrovo della piazza. Stretti sotto gli ombrelli, per contarsi, per vedere se il buio della notte avesse consegnato uno dei loro corpi, sgualciti dall’egoismo e consunti dall’indifferenza, al camposanto. Ma di morte fisica neanche a parlarne. Erano corpi prosciugati dalle anime e strangolati dal tempo, trincerati dietro colpevoli mattoni, impolverati da una gigantesca cecità dei sensi. Non riuscire più a cibarsi della semplicità era la loro più atroce condanna. Una poesia non smuoveva alcun turbamento. I profumi del cibo non solleticavano l’olfatto né preparavano le papille al gusto. Una carezza non istigava il tatto alla dolcezza. Le note di una melodia lasciavano i timpani incatenati ed immobili. Leggi il seguito di questo post »

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4 luglio 2014 at 15:29

THE END

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Non è un azzardo dire che gli attacchi sono stati decisi con precisione inaudita. L’occhio fisso all’orologio. Quando si procede per queste strade i tempi sono essenziali, fondamentali. Si cronometra al secondo. Quello che doveva essere lo scopo finale, gli obiettivi sensibili da colpire, doveva essere raggiunto e raso al suolo senza alcun ripensamento. A monte la preparazione è minuziosa. Ogni cosa al momento giusto, il “progetto distruzione” doveva, però, essere percepito poco o niente. Meglio niente. Per questo si è tentato di sviare l’attenzione su altri argomenti. Si è cercato di fare disinformazione. Si è mossa la gente verso altri problemi. Si è alzata la polvere attorno a casi creati ad arte. Ogni passo da fare viene contato, come se non ci si potesse allontanare mai dallo scopo. Vietato tornare indietro. Quando si prende una decisione, qualunque essa sia, a qualunque costo, questa deve essere portata a termine. Eppure sembra una giornata come tante. Il periodo è lo stesso. Anche il tramonto sembra uguale. Settembre. Forse anche la data è evocativa. Ma il forse in questo caso è un eufemismo. Sembra tutto uguale ma lo scenario è diverso. Si snoda e si lancia a milioni di kilometri da Manhattan. E’ l’undici settembre. L’undici settembre delle genti d’Irpinia.

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Written by emisi75

17 settembre 2012 at 06:30

Pubblicato su Varie

LA SPADA E LA BILANCIA

– di Emanuela Sica
Devo andare. Qualcuno mi perdoni per questo sacrilegio che sono portata a compiere non per mia volontà. Sono bendata. Dovrei essere cieca alle sembianze del mondo esterno, eppure ho la visione del distacco, della separazione dal giusto, dell’assurdo che prevarica il raziocinio.
Ogni passo, ogni movimento di abbandono, è una ferita che si apre e si consuma nel dolore di chi sa  di essere inerme davanti alla voracità di una malattia.
Così si compie il cammino dell’addio, lungo le strade storte di questi verdi luoghi.
La natura che mi circonda crea immagini meravigliose, essenze di quiete, architetture sovrabbondanti di storia, eppure ha un’anima agonizzante.
Avverto un ostacolo. Una mano fuoriesce dal sottosuolo. Cerca di aggrapparsi alle mie vesti.
Mi blocca, prova, tira, non si arrende, vuole che resti.   PER LEGGERE IL SEGUITO VAI SU  http://emanuelasica.blogspot.com/2012/01/la-spada-e-la-bilancia.html

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18 gennaio 2012 at 07:45

Pubblicato su Scrittura

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Potremmo dire di aver lottato

di Emanuela Sica

Permettetemi di cucire, sul vessillo di quest’Irpinia malconcia, il preambolo della Dichiarazione di Indipendenza Americana del 1776:Quando, nel corso delle vicende umane, diventa necessario per un Popolo sciogliere i legami politici che lo hanno vincolato ad un altro ed assumere il rango eguale e separato al quale le leggi di Natura e la natura di Dio gli danno diritto tra le potenze della Terra, il rispetto del giudizio del genere umano richiede che esso dichiari le ragioni che lo spingono alla separazione.”

Quali parole, se non queste, meglio identificano lo stato delle cose? Una lunga serie di usurpazioni, sottomissioni, abusi, dileggi, dispotismo, hanno mirato a ridurre l’Irpinia in ginocchio. L’hanno sventrata, scarnificata, dissanguata, riducendo nel nulla le potenzialità esistenti.

Non bastava l’atroce ferita del terremoto, ne eravamo usciti malconci si ma vivi, consapevolmente ancorati ai nostri territori. Eppure, se non c’è mai limite al peggio, ecco che la politica malsana ha continuato nel compito che si era prefissato, ridurla all’estrema agonia, fare scempio di questa terra.

L’Irpinia è la terra dei nostri natali, dei nostri avi. E’ quel paesaggio che ha fatto da cornice alla costruzione della nostra infanzia e di tutta quella vita che ci era stata data da vivere. L’aria che respiriamo è un connubio di ossigeno, vento e dedizione. Dalla sua fecondità naturale, dai villaggi, dalle valli e dalle montagne che la popolano, abbiamo preso il tratto sanguigno che ci appartiene come tratto idiomatico di distinzione. Da quel guizzo di sangue pulsante e vivido vogliamo trarre l’ispirazione, inarcare la schiena, riprenderci la linfa, dare vigore alle nostre radici per avvilupparci e tenerci stretti il presente, proiettati a vivere meglio il futuro.

In questa lenta agonia, in cui ci hanno relegato le classi politiche che si sono susseguite, non vogliamo continuare a vegetare.

Le nostre richieste sono state disattese totalmente, anzi hanno ottenuto come risposta un continuo reiterarsi di offese, sino ad arrivare alla distruzione totale del nostro habitat naturale. Chi vuole costringere una terra ed i suoi figli a morire lentamente non avrà mai più la nostra partecipazione assente. Le continue angherie hanno reso riconoscibile il nemico, questo tiranno che ha non una ma mille facce. Sappiamo bene chi è e lo vogliamo sfidare.

Per questo, oggi diciamo basta alla logica del palazzo e riprendiamo coscienza.

Oggi ci separiamo dalla politica del qualunquismo e del voto di scambio come vincolo di sottomissione ai poteri della casta.

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Written by emisi75

5 dicembre 2011 at 09:32

19:34 …io ricordo

– Guardia Lombardi, Lioni, S.Angelo dei Lombardi, Frigento …ognuno con i suoi ricordi –

a cura di Emanuela Sica

Prologo

Prima di ogni cosa, prima ancora delle urla e del terrore, prima delle fughe senza una direzione precisa, prima delle luci che si spengono all’improvviso, prima delle pietre che si sgretolano come pane secco, prima del pianto dei superstiti, prima delle bocche asfissiate dalla polvere, prima delle macerie che opprimono vite sparse, prima dell’inizio della fine, un boato. Sprigionato dal ventre infuocato della terra, lungo, cadenzato e quasi un richiamo di guerra. La natura, un condottiero di infinita grandezza, resuscitato dalla profondità del magma in ebollizione, aveva richiamato la sua potenza distruttiva per la battaglia e lo aveva fatto di soprassalto, senza un cenno di annuncio. Così, di notte, all’improvviso, mentre nei paesi la gente si adagiava sul quotidiano della vita, come lupi appostati dietro le siepi, in attesa di prede passanti, le scosse iniziarono ad annunciare l’aggressione. Colpi diretti, acuti, uno, dieci, cento, mille, assalti. Nei letti, nei bar, nelle piazze, ovunque scatti assoluti di paura e panico. Brevissimi intermezzi di accennata di tregua, quasi fulminei, poi di nuovo la lotta. “Aiuto…..aiutatemi….” ecco le prime voci della sconfitta, non sporadiche ma ovunque l’eco delle grida che si spargono nel cielo carico di panico. Dal boato, da quel lamento agghiacciante della terra che si apre, trascorsero novanta secondi. Un pezzo di tempo assolutamente piccolo eppure incomprensibilmente lungo, quasi un’eternità per chi lo ha vissuto. La terra aveva rigurgitato così tanto movimento e sussulto che le gambe non riuscivano a reggersi, le mani cercavano appigli ovunque, l’incredulità si staccava dagli occhi e si posava nel vuoto della notte. Non ci fu il tempo di pensare cosa stesse accadendo. Nel limbo della incredulità, gli sguardi di molti si fermarono a guardare la morte che li stava divorando. Nessuno sapeva bene, quando sarebbe arrivata la fine di quell’incubo, ma tutti avrebbero ricordato l’inizio. Così quando il silenzio riprese la forma che aveva prima delle scosse, e la notte sembrò una donna vestita di stracci e ricurva a piangere sulla martoriata irpinia, si aprì il varco della sofferenza, dei lamenti, del terrore, dell’incredulità, del panico dei vivi per miracolo e dei sepolti vivi, iniziarono i ricordi.

Ore 19.34 Guardia Lombardi

(Un racconto di Emanuela Sica)

Passando dal salone, Nina, diede un veloce sguardo alla finestra e, con gli occhi diretti verso la chiesetta di S. Vito, Leggi il seguito di questo post »

Written by emisi75

23 novembre 2011 at 09:44

Guardia, un pezzo del mio cuore


– di Emanuela Sica – Posto qui un monologo tratto dal mio ultimo libro: Anatomia di Anime. E’ l’intimo sentire di un emigrante (in questo caso Guardiese) che lascia la propria terra natia. Questo pezzo è dedicato a tutti migranti, sia del passato che dei nostri giorni. La tristezza dell’abbandono della propria terra non ha confini, nè un colore, nè una lingua: è universale come universale è l’amore per le proprie radici. Buona lettura.

Monologo di un emigrante guardiese

“Sono partito da quella casa, un cesello, nel margine più remoto della montagna, da quei boschi di castagni, da quell’aria che ricamava profumi e sensazioni indescrivibili sulle mie gote da bambino. Partito con la luce tremula dei primi lampioni che si spengono ai primi rintocchi dell’alba, salutata dall’orologio del campanile. L’ultimo sguardo rivolto all’alloro, di bronzo scolpito, custodito nelle mani dell’angelo più alto della piazza mentre, ancora nelle orecchie, risuonava l’eco delle voci e degli odori del mercato domenicale. Ho viaggiato per giorni, custodendo, nel pugno della mano, solo pochi frammenti della mia terra.

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14 agosto 2011 at 07:45

Cairano segna l’anima per sempre


– di Emanuela Sica –
L’arroganza del sole non tocca tutte le strade.
I vicoli di Cairano si accendono con la frescura dei venti che soffiano dal nord. Pochi passi ed il giorno si avviluppa su se stesso, come un piccolo germoglio si chiude quando la sera prende il sopravvento. Negli occhi, nei sentieri rugosi dei volti che ho visto, ho aperto il cancello che mi separava dal luogo della memoria, dove il tempo sembra essersi fermato, accovacciandosi sopra una Rupe. Nelle prime pennellate del buio, appoggiata alle braccia solide di mio padre, le pietre chiamavano passi, mi invitavano a salire. Piccoli bottoni di luce chiara, calda, quasi un percorso stellare, davano il senso del passaggio verso un giardino notturno, un segreto da svelare. Semplice e sinuoso, si denudava un varco, ai lati delle case. Un varco di pensieri, costruito sui pilastri della memoria più bruciante e rigenerante. Quanti volti indagatori. Chi ero se lo saranno chiesti senza aver il coraggio di lanciare una domanda. Devo aver compiuto un viaggio nell’ignoto e nella sconosciuta piega di un territorio senza paura e piena di volontà, da questo ritorno carica, sovraffollata di speranza e consapevolezza.
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5 agosto 2011 at 23:23

Altrove potrei morire

di Emanuela Sica

Ti prego, non lasciarmi, raccogli quello che resta di me in questa sera di luna senza lucciole.
Ho l’anima ferita eppure riesco ancora a vedere nel riflesso dei tuoi occhi pietrosi la voglia di tenermi stretta, di farmi rimanere.
Piccolo paese mio, parli come un padre afflito davanti alla disperazione di una figlia che vuole perdersi nelle sacche oscure della notte.
L’evasione potrebbe essere la soluzione, ma a che prezzo. Come in un simulacro di cartapesta la pelle attira il battito del cuore che rifiuta di arrendersi, che vuole resistere all’inedia del presente.
Una falena vola all’impazzata e si uccide cercando di rimanere quanto più vicina possibile alla luce, labilissima ma fondente, di un piccolo fuoco di stoppie. Potrebbe essere il mio destino e la paura mi assale repentina, mi arde la gola. Dalle pietre risale un sospiro che nessuno può sentire. Impercettibile eppure intenso, fa tremare ogni cosa. Come una spina velenosa punge l’anima. Leggi il seguito di questo post »

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4 agosto 2011 at 22:38

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La premessa è questa…

emanuela sica

Cari amici del blog Piccoli Paesi, è con enorme piacere che mi appresto ad unirmi a voi in questo percorso rivoluzionario eppure necessario, oltre che decisamente sostenibile, con il vivificatore carburante delle idee o dovrei dire degli ideali che ognuno di voi (noi) è consapevole di avere.
Posterò, di seguito a questa premessa, il mio primo intervento nella convinzione che ognuno di noi appartiene ed apparterrà a questa terra per sempre, nonostante tutto.
L’Irpinia si ama e si odia profondamente ma, come dico sempre, questo rapporto di antitetiche sensazioni ci da modo di restare ancorati alle radici dei nostri natali, a questa terra che viene, oggigiorno, fin troppo vituperata e maltrattata.
Siamo e saremo le pietre che lastricano e lastricheranno le strade dei nostri piccoli paesi, scenografia della vita di ognuno, tracciando un sentiero che, sebbene a tratti tortuoso ed in salita, di sicuro non finirà mai.

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Written by emisi75

1 agosto 2011 at 16:40

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La stessa scintilla: 1789 -2011

di EMANUELA SICA _ _ _ È l’alba di una mattina come tante, il sole rischiara Parigi con un’intensità quasi scenografica. Le guglie della cattedrale di Notre Dame si stagliano, più imponenti che mai, nell’azzurro di un cielo sospettoso, quasi in attesa. Voci ed urla concitate si sentono echeggiare nei vicoli, in un crescendo esasperato, in un tentativo esasperato di soverchiare, con il suono delle parole, il silenzio assordante che viene da Versailles. È il 14 luglio 1789, il popolo francese è saturo di ingiustizie. L’arroganza di un potere senza regole, la canizie di libertà, la sclerosi irreversibile di un sistema politico corrotto, i fasti esasperati e sregolati della monarchia ed una povertà assoluta e dilagante, creano l’esplosivo che deflagrerà, ben presto, non solo Parigi ma tutta l’Europa. La miccia si accende con la presa dell’Hôtel des Invalides. Qui i rivoluzionari si impossessarono di fucili e qualche cannone ma non trovarono polvere da sparo. Per impadronirsene decisero di assalire la prigione-fortezza della Bastiglia, uno dei simboli più imponenti del potere monarchico.

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Written by emisi75

1 agosto 2011 at 15:08

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