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IRISBUS, nel dramma la comicità e la pazzia

di Gerardo Cipriano – mercoledì 27 luglio 2011

Irisbus, nel dramma la comicità delle dichiarazioni di tutti i politici, rappresentanti istituzionali e sindacalisti: tutti esenti da responsabilità, tutti pronti al tutto che equivale al nulla, tutti bravi a dispensare ricette. Peccato che mancano gli ingredienti, le dosi e la “passione”. E’ un ciclo, tutto cambia, tutto si evolve, si è ad un punto di non ritorno: salviamo il salvabile e sforziamoci di immaginare e “prevenire” altre simili gravità. Il paese è al limite, vincoli economici impongono strette su tutto, un’azienda non equivale ad una “una tantum” come il caso delle quote latte, risolvere il problema oggi con un flusso finanziario enorme significherebbe soltanto rinviare il problema. Fiat ha detto: “datemi i soldi com’è stato finora e continuo a tenere lo stabilimento aperto”.

Viceversa, si salvi chi può. Soldi non ce ne sono, nè per la Fiat, nè per la sanità, nè per altre mille cose. Pian piano anche per la casta ci sarà la resa dei conti; l’unica soluzione, visionaria e utopistica, è fermarsi. Fermare questa corsa senza tempo, senza meta, affannosa. Fermarsi per salvaguardare, valorizzare ed anche apprezzare quello che c’è, quello che abbiamo, senza inseguire miraggi. Si parla tanto di crescita, crescita, crescita: cosa deve crescere? 1-10-100-1000-10000-100000 macchine prodotte al giorno in modo esponenziale ed infinito? A quanto dovrebbe arrivare questo numero? Per ottenere poi cosa, esuberi, cassa integrazione, disoccupazione, incertezze e illusioni. E le nuove “frontiere” del progresso cosa promettono? Guardiamo l’eolico: da una pala a migliaia di pale, un territorio sbranato, le tasche di pochi rimpinguate a spese di una società oggetta di corruzione, senso di avidità, invidia, odio. Qual’è il risultato finale? Meno gente, più disoccupazione, più ansie, meno speranze.

Fermiamoci, è l’unica possibile soluzione. “Sarebbe” l’unica possibile soluzione perchè, purtroppo, è impensabile e forse frutto di un pensierio visionario, che potrebbe appartenere a tanti ma forse non abbastanza. Per esasperare il concetto faccio un esempio crudo ma secondo me da considerare: Fiat ha dimostrato, dati alla mano, che negli ultimi 5 anni Irisbus ha avuto un deficit di 150 milioni di euro. Se a questo sommiamo tutti gli altri costi, tipo investimenti, adeguamenti, ristrutturazioni, utenze, consumi e soldi spesi arriviamo tranquillamente al doppio: 300 milioni di euro. Proviamo a dividere 300 milioni di euro per 700 operai e viene fuori una somma interessante: 428’571 euro! Con una somma del genere tutti gli operai avrebbero potuto vivere di rendita ed assicurare un futuro ai propri figli, senza fare niente, senza alimentare il consumismo ed il degrado, magari godendosi qualche giorno in più con i propri figli, con i propri nipoti, con le proprie famiglie e magari tornare a qualche passione che oggi significherebbe reddito e “salvaguardia” del mondo che ci circonda: l’agricoltura naturale, semplice…l’artigianato, il restauro, il riuso, il riciclo, il ricercare l’essenza della vita che sicuramente non è rappresentata da estenuanti turni di 8 ore di giorno, di notte, di monotonia e routine, affossando l’ingegno, l’intelligenza, la sensibilità, le virtù e la dignità di ogni essere umano ridotto ad un automa, ad un robot che, un giorno, si vede recapitare una lettera asettica di poche righe con la quale gli viene comunicato “hei tu, numero 5874936, di te non abbiamo più bisogno, ti cediamo a qualche altro, se servi, peccato che per una vita hai creduto in qualcosa che non esiste e non esisterà mai”……….

Written by agostino della gatta

28 luglio 2011 a 09:38

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Una Risposta

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  1. Bel post e belle considerazioni. Ne aggiungo altre: quei 428.571 € di investimenti/costi pro capite per mantenere quei 700 posti di lavoro, sono certamente spropositati. Qualsiasi micro economista non si imbarcherebbe in un’impresa tanto sbilanciata e sproporzionata. Ma credo che il problema sia diverso e incentrato sul lucro e sulla remunerazione, fuori da ogni parametro accettabile, dei capitali investiti.

    Un esempio semplice e comprensibile: restando in campo automobilistico, la Volkswagen produce la consorella della Punto, la Polo, con aspetti qualitativi migliori, ma offrendola allo stesso prezzo, pagando i propri operai oltre il doppio di quelli italiani (2.500€ contro 1.200), senza ricevere alcun aiuto governativo, né cassa integrazione, senza vessare i propri operai, e remunerando i capitali degli investitori in modo totalmente adeguato. Nessun azionista “gioca” alla finanza creativa e, quella fabbrica che alcuni anni fa, sembrava in grave crisi, è la prima per vendite in Europa. Piccola ciliegina finale, il costo del lavoro citato, continuamente, da confindustria ed economisti, rappresenta solo il 5-6% dei costi totali di produzione. Stranamente si parla sempre di quella riduzione, mai dei compensi esorbitanti di dirigenti e gente delirante.
    Negli anni del boom economico, Valletta dirigente Fiat, percepiva 80 volte il compenso di un operaio; oggi, in tempi di crisi, il corrispondente che non nomino, perché mi irrita, percepisce 480 volte la paga di un operaio. Cosa fa di così prodigioso uno che non ha mai vissuto personalmente la catena di montaggio, per pretendere tanto privilegio rispetto alla massa del “popolo cencioloso”, come diceva Sordi nel film “In nome del papa re?”

    Mario Santoro

    28 luglio 2011 at 14:17


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