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normative post terremoto e processi di ricostruzione _ di Gilda Rizzi

Intervento dell’Avv. Gilda Rizzi tenuto al convegno ‘Calamità naturali e gestione del territorio’, 16 marzo 2017  in Sant’Angelo dei Lombardi.

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Da una esperienza vissuta, la normativa post sisma e la speranza del futuro.

Il terremoto, purtroppo noi l’abbiamo conosciuto il 23 Novembre 1980. Non sapevamo nulla di cosa potessero essere la scala RICHTER, MERCALLI, CRATERE, ogni volta che accadono nuove catastrofi si riapre una ferita profonda, mai chiusa.

Umbria, Marche, Molise, Rigopiano, stesse scene, stesse situazioni, solo che oggi a diffondere le notizie e a far vedere le tragedie ci sono i media, i social, noi eravamo soli, a fare da sfondo ai nostri morti c’era la luna che quante volte abbiamo benedetto quella notte perchè ci faceva da guida.

Protezione civile: insieme delle attività volte a tutelare l’integrità della vita, i beni, gli insediamenti, l’ambiente dai danni o dal pericolo di danni, solo che la PROTEZIONE CIVILE e’ nata con noi, sulla nostra pelle. Nell’80 arrivarono i ragazzi dell’esercito, arivarono i soccorritori, giovani, inesperti, quelli un po’ piu’ preparati venivano dal nord, avevano avuto essi stessi l’esperienza del friuli, ma scoprono una terra, la nostra, dove c’è chi non si tira indietro di fronte a niente. Infatti la notte successiva, proprio qui a Sant’Angelo dei Lombardi, dopo aver appreso della morte del sindaco Guglielmo Castellano si penso’ a nominare nella prima tenda di fortuna una giovane cittadina di nome Rosanna Repole che dovette purtroppo affrontare una delle realta’ più difficili come quella del dopo sisma.

Noi giovani dovevamo pensare ad andare avanti, ma prima, io compresa, demmo una mano nelle tende nei vari insediamenti a distribuire indumenti, viveri e organizzare la mensa, uno dei primi servizi per le persone, non ce ne eravamo resi conto ma stava nascendo il volontariato. Nel campo sportivo il primo ospedale da campo, nei vari posti si creavano degli agglomerati per gli scampati. Si, è cosi non avevamo il tempo per piangere i nostri morti ma dovevamo soccorrere i vivi; fate presto recitava un articolo del mattino a caratteri cubitali e noi oggi ci siamo resi conto che fare presto significa salvare vite umane.

Quello che l’irpinia è oggi lo deve al terremoto, nel bene e nel male .

L’evento del 1980 fu solo l’ultimo atto di una lunga e pesante tradizione di terremoti in Irpinia: 8 settembre 1694, 29 novembre 1732, nel 1930 e 1962. In un territorio così martoriato, la popolazione era caparbiamente sopravvissuta in quelli che si usavano definire romanticamente “paesi-presepe”, contornati da scenari suggestivi, con centri storici suddivisi da intricati sistemi di viuzze, impreziositi da rocche, castelli e antichi edifici, in serenità e semplicità di rapporti umani ma privi di particolari punti di forza economici, tanto meno industriali.

Ma di tutto questo oggi che resta?

Focalizzando la nostra attenzione sull’intervento normativo, possiamo affermare che il legislatore affrontava, per la prima volta in modo ampio e integrato, i problemi drammatici di un’area disastrosamente terremotata, ma che egli stesso ampiava a dismisura, coinvolgendo territori solo lambiti dall’evento sismico, così dando l’avvio a problematiche che nulla avevano a che fare con i nostri paesi, la nostra storia.

Si trattava di una normativa-quadro di ampio respiro, decisamente innovativa rispetto ad analoghe leggi di intervento post terremoto cui si era fatto ricorso nel passato, finalizzata ad un organico intervento pubblico.

Va, innanzitutto, richiamata la legge n. 219 del 14.maggio.1981, frutto della conversione del decreto legge n. 75 del 19.marzo.1981 che non fu esclusivamente finalizzata alla mera riparazione dei danni causati dall’evento sismico al patrimonio edilizio esistente, ma venne orientata anche a favorire forme di sviluppo socio-economico connesse alle fasi di ricostruzione.

Dal punto di vista edilizio, per la ricostruzione di unità immobiliari, destinate ad uso di abitazione, ai proprietari era assegnato, limitatamente ad una sola unità immobiliare, un contributo pari alla intera spesa necessaria per la ricostruzione, di un alloggio di dimensione fino ad un massimo di 110 mq utili abitabili.

Per le unità immobiliari appartenenti allo stesso proprietario, oltre alla prima casa, era assegnato un contributo pari al 30% della spesa necessaria per la ricostruzione o riparazione.

Oggi, invece, per la ricostruzione delle aree del Centro Italia, a cui va tutta la nostra solidarietà, con legge n. 229 del 15.12.2016, è previsto contributo al 100% di tutte le superfici e senza distinzioni tra prima e seconda casa. Si è capito che le differenziazioni, soprattutto per i centri storici, nel nostro caso avevano fatto procedere la ricostruzione a macchia di leopardo e che per avere agglomerati urbani integri, ove sia possibile ripristinare la vita, è necessario far fronte a tutta la ricostruzione, anche per salvaguardare una tipologia edilizia storica volta a preservare la essenza, il carattere della comunità locale.

Alla legge 219\81, seguirono ben 54 interventi legislativi statali, che sfociarono nel testo Unico del 1990, resosi necessario per coordinare le fonti allora vigenti. Gli interventi normativi non finirono: al testo unico, per la complessità dell’opera di ricostruzione e le contraddittorietà create dal legislatore nazionale, hanno fatto seguito ulteriori 38 provvedimenti normativi, senza contare gli atti di alta amministrazione, le circolari, direttive e pareri, oltre alle fonti di carattere regionale.

Ovvio che la giurisprudenza ha dovuto fare luce nei complessi coordinamenti tra le leggi speciali – perché destinate a fette di territorio limitate e per fattispecie legate all’evento sismico – con le norme ed i principi dell’ordinamento giuridico.

Ed in questo bisogna dire che proprio il Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi, nella naturale dialettica tra Magistratura ed avvocatura, ha costruito una giurisprudenza di riferimento per la risoluzione dei casi più spinosi oltre che unici: si sono così meglio regolate le Unità Minime di Intervento (cosidette UMI), i comparti edilizi, il rapporto tra comproprietà e condominio nella riedificazione, le superfetazioni, le delocalizzazioni, le espropriazioni ed interesse alla ricostruzione.

In definitiva si è così formata la giurisprudenza che ha consentito di applicare una normativa speciale, complessa ed a volte contraddittoria, coordinandole con le norme civilistiche ordinarie, nel rispetto delle principi generali dell’ordinamento giuridico e dei diritti fondamentali voluti dalla Costituzione, dettando indirizzi giurisprudenziali confermati anche nel grado di legittimità; ma soprattutto consentendo in tempi rapidi soluzioni di vertenze complesse, che hanno accelerato l’opera di ricostruzione.

Per gli aspetti urbanistici, va rilevato che ai sensi degli artt. 27 e 28 della L. 219 del 1981 i comuni, per sopperire alle immediate esigenze di ricostruzione, adottassero o confermassero il piano per l’edilizia economica e popolare o piano di zona, il piano per insediamenti produttivi e il piano di recupero, anche in variante agli strumenti urbanistici vigenti o adottati o, perfino, in assenza di strumento urbanistico generale, entro 90 giorni dalla sua entrata in vigore. Tale scadenza temporale fu successivamente più volte prorogata,   perdendosi, in tal modo, la presa programmatica e la tempistica ottimisticamente ipotizzata, tant’è che solo oggi, si fa luogo alla erogazione da parte della Regione degli ultimi fondi, dopo anni, meglio decenni, di stasi voluta dalla discriminatoria politica centrale, sostenuta dalla stampa antimeridionalista.

Invece, nella richiamata normativa, per accelerare gli interventi edilizi, si era consentita l’approvazione di strumenti attuativi, quali i Piani di Recupero, già regolamentati dalla L. 457 del 1978, anche nei comuni sprovvisti di P.R.G..piani regolatori generali, prevedendo i criteri della loro impostazione, tanto nel tentativo di connotare l’opera di ricostruzione della massima organicità possibile.

A tutt’oggi molti comuni continuano, ormai del tutto impropriamente, ad utilizzare ancora le procedure della legge 219/1981 per la modifica di alcuni piani attuativi, a suo tempo approvati.

Dall’esperienza ci viene di affermare che dove i centri storici sono stati ricostruiti usando la tipologia di intervento del restauro conservativo, si è riedificato non solo il paese, ma anche la vita della comunità.

E la sicurezza della nostra ricostruzione ?

Le nostre case, gli edifici pubblici ricostruiti, sono veramente sicuri?  Se per gli anni 80 e 90 la legge di riferimento per le classificazioni sismiche è la n.64 del 1974 e per arrivare ad una situazione soddisfacente dobbiamo attendere il 2002,quando un altro evento sismico sconvolge il Molise, dobbiamo trarre una conclusione non rassicurante. Sopratutto se consideriamo che per più efficaci norme tecniche di costruzioni dobbiamo attendere il Decreto ministeriale del 14.settembre.2005 e la sua più volte prorogata attuazione.

La memoria del terremoto non va persa, il passato ci sia di insegnamento per il futuro ! Ma quante altre catastrofi dobbiamo ancora attraversare, quanta gente dovrà ancora morire o sopportare le sofferenze che anche noi purtoppo abbiamo sopportato, cosa oggi dobbiamo fare e cosa non dobbiamo più fare?

Se i morti non possono più parlare per essi devono parlare i vivi, la classe politica deve camminare insieme con il cittadino, collaborare con il cittadino, non abbandonarlo mai, in nessun momento, che non accada mai piu quello che è successo a noi perché dopo 37 anni apparentemente lontani, in un’irpinia dove non c’è sempre il sole, dove il terremoto ancora esiste nella coscienza di tutti, dove il presente testimonia di conti ancora aperti col passato perchè ancora oggi la terra continua a tremare nei cuori della gente!

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Written by A_ve

21 marzo 2017 a 19:44

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