Emanuela Sica _ 7 giugno a Cairano Fiorito
Emanuela Sica / Diario della giornata del 7 giugno 2014 a Cairano, Borgo Fiorito
Prima ancora di arrivare a Cairano ho visto, immaginato, il suo risveglio.
Il mattino che si srotolava, con lentezza ovattata, sul dorsale a strapiombo della rupe. L’aria, carica di misticanze floreali e nettare di scirocco, che diventava sempre più dolce. Le strade, ancora assonnate e cariche di umidità, che si preparavano ad essere toccate da passi, estranei eppure conosciuti. Strade che, prima dei passi attendevano, ansiose, il saluto del sole. Sole che non avrebbe tardato a fare la sua comparsa. Le finestre che si aprivano adagio come occhi, ancora scossi dal torpore, che staccavano a malapena la chiusura delle ciglia per scrutare il tempo che c’era fuori. Così, con le serrande che si riavvolgevano e con le persiane che si spalancavano sul giorno, si risvegliava il paese: Cariano. Ed insieme a questo si svegliava la gente e con essa la laboriosità delle cose da fare. Uscire. Organizzare. Sistemare. Osservare. Magari rimediare ma soprattutto dare avvio all’evento e vivere l’evento. Intanto, senza farsi attendere, ritagliando il silenzio in scampoli sempre più piccoli, da lontano iniziarono ad udirsi voci. Su tutte, preminenti, le voci dei bambini.
Voci cristalline, dalle tonalità gioconde, sbocciavano nella calma del giorno come i fiori sistemati sul viale che portava fin sulla Piazza. Voci che intonavano canzoni, stupore, meraviglia, domande. Voci indirizzate alla salita, a tratti disordinate. Voci che davano il senso di una scoperta. Di una rivelazione. Come il ritrovamento di una gemma sul fondale di un fiume che ha appena vinto la sua battaglia con la furia delle acque in piena. Fiume ora calmo, trasparente, come la serenità. Serenità veicolata nell’aria attraverso le note di una vecchia melodia intonata dalla banda del paese. Gemma che aveva un colore invitante. Come invitante era il colore e la forma delle sculture di ceramiche sistemate nella piccola Chiesa. Come invitante era il colore e la forma di un nido d’amore riprodotto in una piccola appendice del paese. Come invitante era il sorriso della gente ritratta in una cornice policroma, un fermo immagine della loro presenza. Gente che si incontrava per la prima volta o che si rincontrava dopo una lunga assenza. Gente che guardava, osservava, annusava, assaggiava, parlava, domandava, socializzava, ascoltava, riscopriva. Era quella la gemma che muoveva lo spirito ed il pensiero verso uno sguardo più acuto. Tendente all’infinito. Come infinita era la visuale della vallata che circondava ogni cosa. Era quella la gemma della felicità. Ma non della felicità fine a se stessa. Era la felicità delle relazioni. Del coinvolgimento. Della condivisione di una esperienza che doveva essere tendente alla riabitazione non solo delle case ma anche delle anime. Così come si recupera un vecchio rudere e lo si rende abitabile. Così si recupera l’anima. Magari tinteggiando le pareti del corpo con pitture dai colori cangianti. Magari abbattendo qualche tramezzo inutile. Magari facendo spazio alla percezione più intima per dare libero sfogo a ciò che di meglio abbiamo dentro. Era quella la relazione felicitante del paese con se stesso ma non solo. Relazione ed interrelazione con i suoi abitanti, con i suoi visitatori. Era quella la relazione felicitante dell’uomo con la natura. La fotografia di una sconfinata armonia di sentimenti. Niente rassegnazione. Niente tristezza. Niente piangersi addosso ma ricongiungimento delle pietre e di quei luoghi alla bellezza del creato. Bellezza pronta a disvelarsi in una scenografia senza eguali. Forse non esistono neppure le parole giuste per esprimere lo stupore che si avverte di fronte ad un paesaggio che toglie il fiato ma qui ogni cosa riesce a trasformare il senso della vita in qualcosa di unico. Speciale. Qui la staffetta delle emozioni parte e ritorna sempre e solo al cuore. “Perché non c’è strada che porti alla felicità ma è la felicità la strada” …e stavolta la felicità parte da Cairano.