Massimo Locci su Città della Scienza, dov’era / com’era
CONTRO-ARCHITETTURA di Massimo Locci
Città della Scienza di Napoli
In questi ultimi decenni, a partire dall’ ottocentesco Science Museum di Londra, gran parte dei musei della scienza si sono rinnovati nelle strutture espositive e nelle modalità di comunicazione. Tutti ora sono portatori di concezioni innovative basate sul principio dellapprendere facendo e, quindi, si presentano come laboratori didattici pensati per livelli differenziati di conoscenza e per varie fasce di età. Privilegiando il rapporto formativo dei bambini e dei giovani, sono tutti interattivi, stimolanti, divertenti; i musei scientifici sono ora spazi da vivere, da esplorare sperimentando anche ludicamente le componenti scientifiche.
Il Museo della Città della Scienza di Napoli, incendiato la settimana scorsa, era tutto questo ma anche molto di più.
Innanzitutto perché la sua realizzazione era strettamente connessa con un importante intervento di recupero di unarea industriale e infrastrutturale come quello di Bagnoli, che rappresenta la possibilità di dare un futuro allintera città. Lintervento riguardava le lunghe lame poste parallelamente alla litoranea, che lo studio Pica Ciamarra Associati ha riconvertito in un articolato complesso, direzionale e museale. Quale luogo della multimedialità il complesso Città della Scienza di Bagnoli è strutturato con funzioni multiple e con articolazioni specifiche, dalla componente didattico-espositiva allattività congressuale e formativa, allorientamento al lavoro, allincubatore dimpresa. Un sistema organizzativo in continua crescita e trasformazione che si riflette specularmente sullimmagine dellarchitettura.
Le prime idee progettuali nascono nel 1993, quando la Fondazione IDIS sotto la guida di Vittorio Silvestrini acquista da Federconsorzi la proprietà dei suoli con la ex vetreria Lefevre (del 1853, la prima struttura industriali della zona) e si concretizzano nel 1996 attraverso un accordo di programma tra Stato, Regione Campania, Provincia e Comune di Napoli.
Si trattava di affrontare un tema complesso anche per il modo in cui la struttura si inserisce nel paesaggio, fondendo elementi naturali ed antropici (la fascia demaniale in continuità con la spiaggia di Coroglio in questo ambito è artificiale ed esterna al complesso), per la necessità di ricucire memorie industriali e i tracciati urbani. Già nel programma preliminare gli spazi flessibili della cittadella specialistica si accostavano a vari altri ambiti esterni, tutti in dialogo tra città e mare.
Nelle varie fasi di progetto larchitetto Pica Ciamarra ha sempre mantenuto vivo un gioco di rimandi e rispecchiamenti tra archeologia industriale e architettura contemporanea, paesaggistica e arti visive. Inoltre nelle articolazioni polivalenti accanto alle esperienze scientifiche trovavano spazio la letteratura, legata alla ricerca scientifica, e la cinematografia dellimmaginario. La nuova ala, denominata Corporea perché consente di viaggiare dentro e intorno al corpo umano, attende solo di essere inaugurata. Inoltre si stava preparando una sezione sul futuro delle città, cioè dove nel 2050 i 3/4 dellumanità vivrà, o almeno questo prevedono gli scienziati. Il tema si lega alle idee per la città futura, in particolare larea partenopea, come metafora dellesperienza esistenziale e come luogo delezione in relazione biunivoca con lambiente.
Non a caso la scommessa Città della Scienza prende lavvio nel 1986 con una manifestazione multimediale denominata Futuro Remoto, coordinata proprio da Vittorio Silvestrini, in cui nelledizione del 1988 è stata ospitata la bellissima mostra Città Futura incentrata sul rapporto innovazione conservazione, intesa però in senso ampio, come strumento della progettualità aperta e come tutela della possibilità di concretizzare nuove ricerche scientifiche ed espressive.
Allinterno della preesistenza industriale, lasciata intatta nella sua composizione spaziale di tipo basilicale a più navate, i progettisti ipotizzarono di inserire nuove volumetrie, seguendo la poetica dellarchitettura nellarchitettura; intendendo il contenitore come un microcosmo, un interno che diventa esterno con strade, piazze, ponti, punti belvedere. Questi micro-edifici manifestavano nei materiali e nel linguaggio i legami con lo spazio urbano; allesterno facevano da contrappunto opere di land art (il percorso della scienza di Dani Karavan, il periscopio ed il buco del mondo, da unidea di Fred Forest).
Lintegrazione di architettura moderna era prevalente rispetto alle strutture di archeologia industriale, e consisteva in una modellazione del suolo, in forma di nastro di Moebius, e in una griglia concettuale su cui, senza schemi compositivi fissi, sinserivano i singoli dispositivi didattici e le micro-architetture interne. Il concetto di flusso e di metamorfosi si dispiegava liberamente plasmando e dando forma agli spazi. Tutto era pensato per scoprire il complesso rapporto tra gli elementi (terra, acqua, luce e aria) e in un forte coinvolgimento emotivo tra utente, architettura e paesaggio.
Il recupero sensibile della preesistenza (anche se inspiegabilmente nel 1994 e dopo lapprovazione del progetto era stato tolto il vincolo di Bene Storico Architettonico) dava comunque visibilità ai linguaggi contemporanei e ai criteri scientifici per il contenimento energetico, ipotizzando un complesso edilizio che voleva essere un modello emblematico dellattenzione verso le componenti bioclimatiche. Anche se con un uso di materiali che potremmo definire usuali (mattone, pietra, cemento, acciaio, vetro o legno) Pica Ciamarra in questa opera ha sperimentato linguaggi espressivi e accostamenti inediti, rafforzando il valore dellidentità nella diversità.
Queste, per sommi capi, erano le caratteristiche estetiche e funzionali del Museo della Scienza di cui, dopo lincendio doloso della settimana scorsa, rimangono pochi muri in mattoni.
Nonostante il grave danno, che ovviamente non riguarda solo larchitettura, penso sia possibile e necessario ricostruirlo subito, in quanto la struttura era il punto nodale del recupero dellarea industriale di Bagnoli, lemblema della possibile rinascita di Napoli, la sua vetrina internazionale. Quale strumento di marketing territoriale la Città della Scienza ha assunto il ruolo di epicentro di iniziative culturali e formative, che non devono interrompersi, anche perché è in gioco un grande know-how, che ha implicato la formazione di nuove figure professionali, operanti nell’ambito della didattica museale, della creazione di manifestazioni pubbliche, del sostegno alle imprese innovative.
Va evidenziato comunque che il museo, nonostante lestensione considerevole (10.000 mq) era solo una parte (circa 1/4 ) dellintervento finora realizzato, che a sua volta riguarda solo i manufatti più antichi, realizzati dall800 fino al 1945, nella fascia a cavallo di via Coroglio, tra il mare e la ferrovia. La parte andata a fuoco non comprende, infatti, la quota più significativa: la nuova ala del museo (Corporea), che è sostanzialmente completata, il BIC (Business Innovation Center), il Centro di Alta Formazione e lo Spazio Eventi. Infine bisogna ancora realizzare il progetto, da tempo approvato, del lungo pontile sul mare che è importantissimo perché può consentire laccesso alla Città della Scienza dal mare, cioè di intercettare i flussi turistici più rilevanti.
Ora per larea si richiede un grande sforzo civile, una voglia di riscatto della popolazione pari, almeno, allimpegno messo in atto in 25 anni dalla Fondazione IDIS, che ha attuato lo Science Centre. Bagnoli, la spiaggia di Coroglio, Nisida, la Mostra dOltremare, i Campi Flegrei sono luoghi straordinari che necessitano di una forte ed aperta progettualità, capace di aderire ai valori della contemporaneità internazionale per cui Napoli è vocata.
Anche se per principio non sono quasi mai favorevole alla logica del dove era / come era, sostenuta dai conservatori ad oltranza, nel caso specifico si può ricostruire in poco tempo, recuperando o meno le poche murature residue (che non erano rilevanti nemmeno in precedenza) e realizzando nuovamente ledificio come era, in quanto esiste un progetto di proprietà dellIDIS, dettagliato e verificato in tutte le sue parti, che proprio per le valenze sperimentali citate, in particolare in termini bioclimatici, sarebbe ancora innovativo. Paradossalmente alcuni conservatori propongono di spostare il museo in un altro sito, soluzione insensata per una serie di motivi:
1) perché inficia lidea stessa di Città della Scienza, integrata e in continuità con le altre strutture del complesso.
2) Perché per la nuova area bisognerebbe fare una variante urbanistica
3) Perché bisognerebbe fare un nuovo progetto generale, con grande dispendio di tempo e di costi
massimolocci.arch@gmail.com _ ‘controArchitettura’ è una rubrica di Massimo Locci per PreS/Letter http://presstletter.com/
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