La stessa scintilla: 1789 -2011
di EMANUELA SICA _ _ _ È l’alba di una mattina come tante, il sole rischiara Parigi con un’intensità quasi scenografica. Le guglie della cattedrale di Notre Dame si stagliano, più imponenti che mai, nell’azzurro di un cielo sospettoso, quasi in attesa. Voci ed urla concitate si sentono echeggiare nei vicoli, in un crescendo esasperato, in un tentativo esasperato di soverchiare, con il suono delle parole, il silenzio assordante che viene da Versailles. È il 14 luglio 1789, il popolo francese è saturo di ingiustizie. L’arroganza di un potere senza regole, la canizie di libertà, la sclerosi irreversibile di un sistema politico corrotto, i fasti esasperati e sregolati della monarchia ed una povertà assoluta e dilagante, creano l’esplosivo che deflagrerà, ben presto, non solo Parigi ma tutta l’Europa. La miccia si accende con la presa dell’Hôtel des Invalides. Qui i rivoluzionari si impossessarono di fucili e qualche cannone ma non trovarono polvere da sparo. Per impadronirsene decisero di assalire la prigione-fortezza della Bastiglia, uno dei simboli più imponenti del potere monarchico.
Augustin Hulin prese la guida degli insorti ed una folla sempre più numerosa raggiunse la fortezza chiedendo la consegna della prigione. Lo scontro fu violentissimo ed alla fine il Governatore Launay decise di capitolare permettendo agli insorti di penetrare nella Bastiglia. Le guardie trovate morte vennero decapitate e le loro teste infilzate su pali appuntiti, portate in una macabra processione attraverso tutta la città. Il resto della guarnigione fu fatta prigioniera e condotta al Municipio ma lungo la strada, in piazza de Grève, Launay venne preso dalla folla e linciato, poi decapitato e la sua testa infilzata come un trofeo. Intanto, nel suo regno dorato e pieno di specchi, Luigi XVI dava poca importanza all’accaduto e quando, successivamente, ne riconobbe la gravità era ormai troppo tardi. La notizia della Presa della Bastiglia si diffuse in tutta la Francia, aumentando la consapevolezza che la forza della popolazione era in grado di supportare le idee dei riformatori. La presa della Bastiglia consacrò un simbolo inedito e sovversivo: il potere arbitrario ma vulnerabile del Re. Nel libello dell’Abate Sieyès “Che cos’è il terzo stato?” la critica dei privilegi della nobiltà e la connessa esaltazione del terzo stato come unica classe produttiva del Paese, portarono a una conclusione dagli effetti politici dirompenti e sanguinari: «Se si eliminasse l’ordine privilegiato, la nazione non sarebbe qualcosa di meno, ma qualcosa di più». Dal 14 luglio in avanti, la sommossa popolare si organizzò con maggior vigore, cementando l’idea di progresso e rinnovamento nei diritti di liberta, fraternità ed eguaglianza. La lunga marcia della rivoluzione sarebbe continuata incessante e senza risparmio in termini di vite, sangue e terrore. La ghigliottina, con colpi netti e decisi, decapitò il potere monarchico senza alcuna pietà, tranciando geneticamente tutto il complesso statale, senza margini di pietà. Ora, siamo verso la fine del mese di luglio, l’anno è il 2011 e, quello che sta accadendo – la tutela ad oltranza dei privilegi della casta, i sacrifici economici richiesti solo alla popolazione, l’arroganza di un potere politico irrispettoso della morale, la discesa irreversibile dell’onestà nel baratro del così fan tutti, l’ineguaglianza di pochi davanti alla legge – potrebbe forse far scattare la stessa scintilla di indignazione emotiva e disperazione che portò ai moti della Rivoluzione Francese del 1789? Di certo la domanda è tendenzialmente provocatoria. Siamo veramente in grado di ribellarci ed alzare finalmente la testa davanti ai massicci colpi che ci stanno infliggendo giorno per giorno? Non è facile rispondere senza dar luogo a polemiche, senza accendere gli animi nel dibattito attuale. Ci tolgono il diritto alla salute, il diritto al lavoro, si cerca di relegare l’onestà nei vicoli più bui della società civile per far spazio alla nuova tangentopoli, la politica diventa solo spettacolo e presenzialismo, siamo cittadini di questa terra solo perchè paghiamo le tasse, altrimenti non esistiamo.
Troppi sacrifici stanno chiedendo a chi è già in ginocchio. Eppure… forse siamo ancora in grado di rialzarsi davanti alla sfrontatezza di così tanto arbitrio. Chissà. Per ora una cosa è certa. La nostra rivoluzione, se davvero dovesse esplodere, nascerebbe con un piccolo handicap o meglio senza quello strabiliante mezzo risolutorio che i Francesi possedevano. Già, perché in Francia la ghigliottina funzionò meglio della magistratura.


Guido Dorso è stato l’unico tra i tanti falsi meridioonalisti, papocchiari e basta, a capire che il problema del sud dipendeva dalla bassa qualità della sua classe dirigente.
domenico cambria
3 agosto 2011 at 19:28
Ricordare ciò che doveva portare alla liberté, legalité e fraternité e bello. Ma i tempi sono cambiati. Ce lo stanno ricordando, purtroppo, oggi, i ricercatori della libertà di Siria, Libia. Tunisia ecc. Questa società ha fatto molti passi indietro. Cento anni fa una falce o un badile potevano servire al “popolo” per rivendicare i propri diritti e vincere. Oggi non pi. Le sole mani contro i carri armati non bastano. Cosa allora? Le idee, lo scrivere, il portrare avanti un percorso condiviso. L’unione in queste prospettive possono valere più di 1.000 carri armati. Ecco perché, come dicevo in un altro post, penso che Angelo per i primi di settembre sappia mettere assieme un bel quadro di unione che sappia essere presente, soprattutto farsi valere con le idee.
domenico cambria
2 agosto 2011 at 06:24
«Le più grandi rivoluzioni si operano, prima ancora che nei fatti, nel campo delle idee e prima ancora che nelle masse, nel ristretto campo dei cenacoli intellettuali, ove germinano e si educano i nuovi condottieri»
Guido Dorso
Rossana Cetta
1 agosto 2011 at 19:55
Cara Rossana, innanzitutto è un piacere conoscerti e poter dialogare con te, questo blog, immagino, nasca anche e soprattutto per il confronto aperto ed allo stesso tempo serrato delle idee. Uso due termini antiteciti a ragione anche perchè sono fermamente convinta che dalle diversità possa nascere finalmente l’unione degli intenti che ci potrebbero portare a ribellarci a tutto quello che sta succedendo. E vero, la nascita della rivoluzione passa necessariamente per le menti degli intellettuali e per i cenacoli culturali. Allo stesso tempo è, però, vero che se solo lasciassimo spazio alle uniche parole tutto si risolverebbe, come sempre, in un parlare e parlarsi addosso. Non sto dicendo che preferisco l’azione c.d. “armata” rispetto alle idee, dico soltanto che la vera rivoluzione dovrebbe essere si filosofica ma anche attiva e per attiva intendo movimento, qualsiasi esso sia, purchè comporti aggregazione e vicinanza tra le persone nell’ottica di un unico obiettivo: CAMBIAMENTO.
Un saluto,con stima.
emisi75
1 agosto 2011 at 21:35
Sappi che io sono d’accordo con te sul fatto che le parole non bastano per cambiare il mondo, ma ritengo pure che uno studioso irpino come Guido Dorso dovrebbe essere rivalutato e considerato anzi un vero profeta. Nel suo famoso saggio sulla Rivoluzione meridionale parlava di una rivoluzione delle coscienze, attuata dagli intellettuali mediante un’operazione pedagogica, che è poi ciò che stiamo facendo anche noi con questo blog. Io credo che i tempi per questa rivoluzione siano maturi, dobbiamo impegnarci affinché la nostra gente ritrovi nelle proprie potenzialità le risorse per il suo riscatto.
Rossana Cetta
2 agosto 2011 at 21:29