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Dario Bavaro nel ricordo di Generoso Picone

Il Mattino, 20 novembre 2025
Generoso Picone
Dario Bavaro era una creatura che amava abitare i sogni. Si abbandonava alla loro splendida vaghezza, lasciandosi prendere da un vento forte che lo portava lontano come quello che batteva la rupe dell’amata Cairano: poi tornava sulla terra e raccontava ciò che aveva visto, incontrato, capito. I sogni gli trasmettevano energia e voglia di vivere: rappresentavano la forza trascinante di un visionario che batteva i territori impervi della realtà alla ricerca dell’unico obiettivo in grado di dare un senso al proprio agire. La bellezza che dà felicità, o quantomeno che consente di toccarla. Lui aveva coniato un termine per questa filosofia, l’aveva denominata felicitanza, ed era diventata una sorta di slogan, un passe partout, la parola chiave per accedere a un mondo. La felicitanza che ora resta la cifra della sua eredità più feconda.
Perché Dario Bavaro se ne è andato. Si fa fatica accettare l’idea che la sua esistenza abbia avuto termine dopo 73 anni vissuti e mille altri che avrebbe desiderato vivere. Oggi alle 11 nella chiesa di Sant’Antonio Abate alla frazione Caliano di Montoro l’ultimo saluto alla moglie Lucia, alla figlia Federica, ai nipotini Giovanni, Marco e Dario, al genero Michele, alle sorelle Angela Maria e Nanda, al fratello Pellegrino: qui si ritroverà soltanto un minimo brano della larga comunità che lui era stato capace di comporre, facendo di Cairano il luogo di elezione e del suo carisma il fuoco sempre acceso. Dario Bavaro ne è stato il cerimoniere gioioso che con sorriso largo, voce baritonale e gesto teatrale riusciva ad affabulare e coinvolgere chiunque: il piglio del narratore di un continuo Pentamerone alla Giambattista Basile, il manipolatore dei simboli antropologici del Paese dei Coppoloni di Vinicio Capossela, il creatore di una aggiornata mitografia coniugata con l’arte di Giovanni Spiniello. I siensi dell’intelletto accanto alla farfalla Melanargia, il profilo dell’orizzonte disegnato dall’alto dell’Odeon di Franco Dragone, l’organo suonato dal vento a fronteggiare la giungla delle pale eoliche.
Di Dragone, il mago del Cirque du Soleil, era divenuto amico e sodale nell’impresa affascinante di fare di Cairano, il paese più piccolo della Campania, il paradigma di una nuova qualità della vita. Con Luigi D’Angelis, Mario Marciano e Angelo Verderosa formò l’associazione Cairano 7X, poi Irpinia 7X, che con l’apporto successivo di Enrico Finzi, Spiniello e altri ancora avrebbe avviato un progetto di recupero, valorizzazione e promozione culturale. Costituiva la dimostrazione che non c’è astrattezza algoritmica di marketing territoriale in grado di confrontarsi con l’abilità di saper interpretare il genius loci, di cogliere il senso profondo dei luoghi e raccontarlo nella temperatura di una consapevolezza matura. Per Dario l’incontro con Cairano era apparsa l’occasione migliore per coniugare la passione e competenza.
Formatosi ad Avellino nell’Azione cattolica e quindi nelle stagioni dell’Arci di Gaetano Vardaro, da impiegato al Comune di Avellino si iscrisse – studente lavoratore – al corso di laurea in Scienze della Comunicazione all’Università di Salerno che era appena sorto e del quale nel 1997 fu il primo diplomato. Voto 110 e lode, tesi con relatori i professori Annibale Elia ed Emilio D’Agostino, argomento il Don Giovanni di Mozart: che lui non si limitò a discutere davanti alla commissione d’esame ma volle cantare. Uno spettacolo straordinario, di grande effetto e di estrema presa. Nelle stanze dell’ateneo di Fisciano ci sono ancora fotografie della performance che ricordano la giornata. Ad Avellino provò a mettere in pratica le lezioni imparate. Passò a dirigere l’appena inaugurato Teatro Carlo Gesualdo con impegno, soddisfazione e risultati. Nel 2018 la gestione della struttura comunale venne toccata dall’inchiesta della Procura, lui fu coinvolto e visse la complicata esperienza nei termini di un’offesa alla sua onestà, alla sua trasparenza, alla sua ingenuità. Curò le amarezze trasferendosi a Cairano, la casa del lathe biosas epicureo dove lenire le asprezze e far maturare i programmi per darre all’Irpinia un nuovo corso. Collaborò con l’amministrazione guidata da Luigi D’Angelis e la master-class teatrale in nome di Franco Dragone, il Museo delle relazioni felicitanti, le rassegne all’Odeon hanno negli anni declinato in termini donchisciotteschi un laboratorio di restanza alimentato dall’ambizione del sognatore, dall’ansia febbrile del visionario dalla cocciutaggine di un innamorato della sua terra.
Queste erano le sue qualità, grandi come il gran vuoto che ha lasciato.
