Agronomia del costruito e architettura della terra _ di Valeria Zaccaria
CAIRANO 7x – BORGO GIARDINO. Laboratorio della Comunicazione.
Agronomia del costruito e architettura della terra _ di Valeria Zaccaria
Tutti sanno che le piante sono esseri viventi, ma quanti se ne ricordano?
Fin dalla Bibbia, nell’elenco degli esseri viventi saliti sull’Arca perché fossero salvati dal Diluvio, non si nomina una sola pianta. Eppure sappiamo che Noè appena rimise piede sulla terraferma vi piantò una vite.
Nell’Islam è proibita ogni rappresentazione di Dio e delle sue creature, ma l’arte islamica è tutta un florilegio e volute di fiori e foglie.
Nel libro Robinson Crusoe dopo pagine e pagine di descrizione di piante, fiori e frutti di cui era ricca l’isola, il naufrago incontra un caprone e Defoe scrive: “Finalmente un essere vivente!”.
Qualche anno fa, un professore della Facoltà di Agraria di Portici che aveva lavorato ad un certo progetto di sistemazione a verde insieme con alcuni architetti, non usò mezze misure nel criticare la loro impostazione mentale, dicendo che progettavano giardini come se le piante fossero di plastica.
Lo stesso professore, però, non mostrò alcun interesse verso l’opera architettonica e la sua validità rispetto ad aspettative e richieste dei fruitori (umani).
E allora per me fu chiaro ed evidente che, in quella occasione, esperti del mondo del costruito e della natura avevano lavorato solo multi-disciplinarmente, ma non inter-disciplinarmente.
Agronomi ed architetti sono tra le professioni più simili e diverse: hanno lo stesso scopo o sogno, creare ambienti quanto più piacevolmente vivibili ed entrambi cercano di realizzare interventi unici e mirati a rispondere a specifiche richieste, gusti e situazioni, ma si rivolgono a diverse utenze, esseri umani ed esseri vegetali.
Se credo sia condivisibile il sostenere che gli architetti, benché abbiano una visione piuttosto ampia e sfaccettata delle esigenze materiali e immateriali dell’uomo, non abbiano altrettante conoscenze dei vegetali anche quando si occupano di verde urbano, di paesaggistica, di progettazione del territorio, credo anche che la cosa sia sanabile semplicemente attraverso un progettare inter-disciplinare, cioè rispondente all’attuale concetto di ambiente, così come evolutosi dall’iniziale suddivisione trina paesaggio-difesa del suolo- urbanistica, poi in concetto bifronte (assetto del territorio da una parte e difesa del suolo, dell’aria e dell’acqua dall’altro) e infine in visione di ambiente come entità unica, di bene giuridico composto da tutte le risorse naturali e culturali che inter-agiscono con l’uomo.
Da questa visione nasce il concetto di vegetecture, laddove l’elemento vegetale è il nucleo centrale del costruito più che un abbellimento, e derivano le buone pratiche agricole e l’attività agricola sostenibile, i concetti di paesaggio di qualità e di territorio agricolo “sano” e produttivo.
Non ha più senso l’ambientalismo tout court con le sue aree protette, i suoi recinti e le sue chiusure.
Ormai si sta comprendendo che territorio e paesaggio si preservano solo modificandosi e questo deve avvenire mantenendo quel delicato equilibrio tra ideali e concretezza, tra la conservazione della struttura del paesaggio e la sostenibilità economica di ciò che vi si produce, tra la bellezza e il lavoro e turismo etico, tra le tradizioni locali e le produzioni energetiche da fonti rinnovabili, tra natura e costruito, perché il sentiero dell’architettura, si dice, porta nella foresta e l’agricoltura, con la sua prevalente estensione sul territorio, di fatto da sempre lo gestisce.
La visione di un unicum ambientale ci ricorda che uomini, animali e piante sono esseri conviventi, con delle differenze fondamentali tra i primi e le seconde: le piante non sono individui e sono sessili.
E questo per la loro scelta di prendere energia dal sole, scelta rivelatasi assai condivisibile, se misuriamo il successo evolutivo dalla biomassa di una specie e se si considera che il 99,5 % ciò che è vivo sono vegetali.
Il resto, noi, siamo solo tracce.
Fotosintesi, infatti, significa non avere necessità di spostarsi, ma anche non poter fuggire e dover difendersi da pericoli ed erbivori nel solo modo possibile: non essere individui, evolversi come organismi coloniali, composti da migliaia di parti uguali, moltiplicabili e ricostituibili, di moduli infinitamente ripetibili.
Una pianta non ha un cuore o polmoni (immaginate che danno irreparabile se gli venissero strappati via dal morso di un caprone), ma ha un “cervello” nelle sue radici: è come un uomo a testa in giù e gambe per aria con il sesso gioiosamente esposto (vi ricordo che i fiori sono organi riproduttivi).
Essere sessili, però, significa anche essere territoriali e ciò non a scapito dell’adattabilità (ci sono piante che vivono in terreni così salati dove l’unica compagnia sono alcuni batteri), è semplicemente una questione di stanzialità che rende fondamentale il rapporto con l’ambiente… insomma è molto più logico spendere più per quest’ultimo e meno per le piante che ci vivranno.
È come progettare una casa, solo che il cliente è un vegetale, vivo e sensibile (anche se ce ne scordiamo tanto che usiamo il termine “vegetale” per indicare quando qualcuno è pressoché già morto) e bisogna conoscerlo, perché parafrasando Thoreau, su uomini e piante non si posa polvere.
La competenza e il rispetto e, diciamolo, anche un po’ di umiltà nel riconoscere i propri limiti, portano a curiosità, apertura mentale e vera azione inter-disciplinare, ad “architetti della terra” e “agronomi del costruito” e, quindi, a risultati migliori.
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